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Già, il conflitto di interesse. Il vostro rischia di diventare un caso da manuale: il proprietario del più importante aeroporto d'Italia, Fiumicino, diventa socio del più grande vettore italiano, trovandosi poi nella difficile posizione di dover contrattare le tariffe dello scalo come fornitore del servizio e come controparte. Non solo.Con il piano-Intesa,Alitalia dovrà rispostare su Malpensa una buona parte dei voli che sono stati appena trasferiti a Fiumicino, che così perderà ricavi: in altre parole, voi ci rimettete due volte...
È proprio questo il paradosso. Ed è per questa ragione che, a mio avviso, il miglior servizio che noi, come gruppo, possiamo fare ad Alitalia è proprio quello di fare di Aeroporti di Romae di Fiumicino un grande aeroporto europeo. Non c'è grande compagnia senza un grande aeroporto. Questo è il nostro impegno: un aeroporto con standard di servizio mondiale per una nazione avanzata.
Il chip su Alitalia, insomma, non volete metterlo?
Non è questione di soldi, ma di rispetto delle regole e di correttezza nei confronti del mercato e dei nostri azionisti. E poi lasciatemi dire un'altra cosa: nessun imprenditore può essere disposto a investire sul progetto Alitalia senza vedere prima un piano industriale
Lei parla di Fiumicino come di uno scalo europeo.In realtà l'aeroporto è in condizioni allarmanti, i servizi non brillano e sulle strutture gli investimenti che avevate promesso non si sono ancora visti...
Assieme con il management stiamo lavorando per un grande progetto e abbiamo chiesto l'aiuto dell'aeroporto di Singapore, unanimemente riconosciuto come uno dei più moderni ed efficienti aeroporti del mondo. Per ora stiamo solo gestendo l'esistente per evitare che la situazione dello scalo precipiti. L'aeroporto di Roma Fiumicino ha attualmente una capacità di ricezione di 33 milioni di passeggeri, a fronte di un traffico previsto per il 2008 di 38 milioni di passeggeri e di 60 milioni di passeggeri tra 10 anni. Da qui discende la necessità urgente di inve-stimenti, dello sviluppo di opere viarie e di trasporto per collegare Roma e la regione con l'aeroporto.
Anche in questo caso, come per Autostrade, la stabilità di norme e tariffe certe sono essenziali per i progetti di sviluppo.
In altre parole, prima di spendere su Adr lei chiede al Governo una convenzione come quella di Autostrade?
Sì, lo chiederemo quando sarà pronto e presentato il progetto. In tema di tariffe dobbiamo porci il tema, e con noi tutto il mondo politico, che se si vogliono accelerare gli investimenti e farne di nuovi e si vuole che i privati partecipino attivamente a questo processo si deve accettare una remunerazione di mercato dei capitali investiti. Negli ultimi anni si sono costituiti fondiinfrastrutturali privati con capitali complessivi di oltre 500 miliardi di euro. I capitali sono quindi disponibili, ma se si vuole attirarli in Italia servono cinque condizioni essenziali: trasparenza, stabilità politica, legislativa e amministrativa e inoltre è necessaria un'adeguata remunerazione di mercato.
E se la convenzione non ve la dessero?
Allora dovremo riconsiderare l'intero investimento in Adr, perchè senza certezze sulle tariffe e quindi sul recupero degli investimenti, non possiamo impegnarci.
Torniamo ad Autostrade. La convenzione è arrivata...
Sì, ma credo che la vicenda Autostrade di questi due ultimi anni e l'incertezza che ne è derivata per la società, quotata, sia un esempio eclatante di quanto sia difficile in Italia fare impresa. Oggi Autostrade, o meglio Atlantia, è la società autostradale che ha il più ingente programma di spesa al mondo: investiremo 18 miliardi di euro nei prossimi 10/ 12 anni.Con la nuova convenzione non solo si è sanata un'incertezza durata oltre due anni, ma è stato introdotto un rischio di impresa sul costo di costruzione dell'opera che prima non c'era. Sono spariti i meccanismi di compensazione nel caso in cui l'opera venga a costare più del previsto: ora gli extra-costi sono tutti a carico della società.Sottolineerei inoltre che l'adeguamento delle tariffe al 70% dell'inflazione è un concetto ampiamente adottato in Europa e negli Stati Uniti: il 30% rimanente è esattamente efficienza che va ai consumatori.
Ci spieghi la semplificazione della catena di controllo e il riassetto delle holding. Qualè l'obiettivo?
La filosofia di fondo è quella che abbiamo seguito sin dalla fondazione di Benetton Group negli anni 60: crescita ed internazionalizzazione. La logica del riassetto è chiara: semplificazione societaria, più efficiente e razionale anche a seguito dell'ingresso dei nuovi soci ( il fondo sovrano Gic, Goldman Sachs e Mediobanca in Sintonia S.A. ed evoluzione della governance), con l'inserimento della seconda generazione e di consiglieri indipendenti nella holding di controllo, decisione che era già stata presa in Edizione Holding ante scissione.
Chi comanderà nella nuova Edizione srl?
L'operazione avrà decorrenza dalla fine dell'anno. Per ora posso dire che io avrò la presidenza e Gianni Mion la carica di amministratore delegato.
Un'ultima domanda:come sono i rapporti con l'UniCredit di Alessandro Profumo?
Costruttivi. Sono soci in Atlantia, anche se Profumo ha detto più volte di voler uscire. Certo, i prezzi attuali di Borsa non sono favorevoli. La decisione di non considerare più strategica la partecipazione in Atlantia deriva anche dalla mancata fusione con Abertis, di cui Profumo è stato un grande sostenitore.